Svizzera 2012 - 100' - di Fernand Melgar

Ogni anno, in Svizzera, migliaia di uomini e donne vengono incarcerate senza processo né condanna. Per la sola ragione di risiedere illegalmente sul territorio, possono essere privati della libertà per un periodo di due anni in attesa della loro espulsione. Dopo “La Forteresse” – Pardo d’oro al Festival internazionale del film Locarno – che trattava delle condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo in Svizzera, Fernand Melgar posa il suo sguardo sull’altra estremità della catena, ossia sulla fine del percorso migratorio. Il cineasta si è immerso nel corso di nove mesi nel centro di detenzione amministrativa di Frambois, a Ginevra, uno dei 28 centri di espulsione per Sans papiers in Svizzera. A Frambois si trovano alla rinfusa sia richiedenti asilo la cui domanda è stata rifiutata, sia clandestini. Alcuni tra questi si sono stabiliti in Svizzera da anni, hanno costituito una famiglia, lavorano, versano i contributi alle assicurazioni sociali e mandano i loro figli a scuola. Questo fino al giorno in cui i servizi cantonali di immigrazione decidono arbitrariamente di chiuderli in carcere per garantire la loro partenza dalla Svizzera. Il problema è che nessuno tra i detenuti è preparato a partire volontariamente, inizia quindi un lungo accanimento amministrativo per forzarli a farlo. Dietro le porte chiuse delle carceri, il faccia a faccia tra il personale e i detenuti assume col trascorrere dei mesi, una dimensione di intensità a tratti insostenibile. Da una parte, una piccola squadra unita, motivata e impregnata di valori umani, dall’altra uomini alla fine della loro corsa, vinti, esauriti dalla paura e lo stress. Si allacciano quindi rapporti di amicizia e odio, rispetto e ribellione, gratitudine e rancore. Fino all’annuncio dell’espulsione, spesso vissuto dai detenuti alla stregua di un tradimento, come un’ulteriore pugnalata. Questa relazione di «vita o morte», come è provato purtroppo dall’episodio più drammatico del film, si svolge per la maggior parte del tempo tra disperazione e umiliazione. Annientati dalla legge e dal suo implacabile ingranaggio amministrativo, coloro che si rifiutano di partire volontariamente verranno legati e ammanettati, costretti a indossare elmetti e pannolini, e imbarcati di forza su un aereo. In questa situazione estrema, la disperazione ha un nome: vol spécial.


AWARDS AND FESTIVALS
- Prix Italia
- Silverdocs DocFest-Menzione Speciale
- Human Rights Film Festival in San Sebastian-premio Amnesty International
- Crossing Europe Film Festival-premio Fedeora
- Full Frame Film Fest-premio Anne Dellinger
- FIDL-Best Human Rights Film Award
- Premio del Cinema Svizzero 2012-Miglior documentario 2012
- Premio One World Human Rights FilmFest
- Festival Internationale dei Diritti dell’Uomo-Premio Giuria Studenti
- Premio Soleure 2012; vincitore Festival Watch Docs
- Festival des Libertés-Menzione Speciale, Menzione della Federazione Internazionale dei Diritti Umani
- Festival Cinema Francofono in Acadia-Miglior documentario
- 64° Locarno Film Festival-Competizione internazionale-premio Giuria dei Ragazzi, premio giuria Ecumenica.

Se il migrante è trattato da “pazzo”

Flore Murard-Yovanovitch, in un articolo de L’Unità di lunedì 15 aprile 2013 (p.15), illustra bene la condizione di deumanizzazione dei migranti all'interno dei Centri di detenzione e espulsione (CIE). La giornalista parla di patologia Occidentale e prende il documentario Vol Spécial come strumento per svelare e denunciare la questione dei CIE in Svizzera. Leggi qui la sua analisi.